Stime Oms: in aumento la diffusione di patogeni da animali a uomo

La causa è la distruzione degli habitat naturali. Il ruolo dell’inquinamento atmosferico

di Remedios Cortese

SARS-CoV-2 è un virus che, secondo la comunità scientifica, deriva dai pipistrelli, e probabilmente ha avuto come ospite un altro animale prima di giungere all’uomo. L’infezione da SARS-CoV-2 è pertanto una zoonosi; una malattia infettiva che dagli animali si trasmette all’uomo secondo un processo chiamato spillover: un salto di specie.

Per un virus questo significa nuove opportunità di soddisfare l’imperativo darwiniano che lo regola: fare copie di sé all’interno delle cellule dell’organismo che lo ospita. Al di là della chimica necessaria affinché un virus riesca a fare un salto di specie, una delle condizioni essenziali perché lo spillover si possa realizzare è il contatto tra le specie.

Le zoonosi sono sempre esistite, ma ora sono molto aumentate

Il nostro pianeta è una rete di ecosistemi interconnessi tra loro, di cui l’uomo è soltanto una parte. La contiguità tra specie differenti appare dunque una circostanza naturale. Quindi lo spillover è un fenomeno che, per costruzione, possiede una certa probabilità di occorrenza. Effettivamente, la storia dell’umanità è costellata di eventi in cui agenti patogeni provenienti da animali hanno decimato la popolazione umana.

David Quammen nel suo saggio “Spillover” scrive: “Guardandole tutte insieme queste malattie sembrano confermare l’antica verità darwiniana (la più sinistra tra quelle da lui enunciate, ben nota eppure sistematicamente dimenticata): siamo una specie animale legata in modo indissolubile alle altre nelle nostre origini nella nostra evoluzione in salute e in malattia”.

David Quammen (©Lynn Donaldson)

Negli ultimi decenni il numero delle zoonosi è aumentato sensibilmente. Le malattie infettive emergenti (EID acronimo dall’inglese, Emerging infective disease) sono dominate dalle zoonosi (60,3%) e la maggior parte di queste (71,8%) hanno origine dalla fauna selvatica.

Nel marzo 2018, l’Organizzazione mondiale della sanità ha reso pubblico un rapporto nel quale si indicano le malattie sulle quali è necessario investire in termini di ricerca e prevenzione. Sono tutte zoonosi: Ebola, Nipah, Lassa, la febbre della Rift Valey, Zika, SARS e MERS.

Ciò suggerisce che, negli ultimi decenni, qualcosa nei rapporti di contiguità tra specie animali ed esseri umani sia mutato e favorisca lo spillover e la diffusione di agenti patogeni di origine non umana.

Alterati l’ambiente del pianeta e l’equilibrio dinamico fra i viventi

Nell’ultimo secolo, l’uomo ha attuato, con velocità progressiva, piani di sfruttamento sistematico delle risorse e degli spazi dell’intero globo. Ha ridisegnato a sua discrezione le geografie di tutti gli ecosistemi. Il contatto degli esseri umani con gli animali selvatici è divenuto più frequente a causa dell’antropizzazione di habitat di altre specie, della deforestazione, della caccia indiscriminata e dell’aumento della popolazione umana.

L’uomo non solo ha limitato i territori a disposizione delle varie specie animali, ma ha anche perturbato profondamente gli ecosistemi e la loro biodiversità. Ad oggi è stato modificato in modo significativo il 75% dell’ambiente terrestre, il 66% di quello marino e oltre 1 milione di specie animali e vegetali sono a rischio di estinzione.

All’interno degli ecosistemi l’equilibrio dinamico tra esseri viventi è stato fortemente modificato. Ciò si è tradotto anche nell’allentamento di molti meccanismi autoregolatori e ha influenzato la diffusione degli agenti patogeni tra specie differenti.

L’impatto delle attività umane è certo, ma va studiato e misurato

Per comprendere come un agente patogeno diffonda tra gli uomini bisogna considerare quanto sia contagioso, come avviene il contagio e quale sia il suo tempo di incubazione. Tuttavia, per avere un quadro completo è necessario includere anche altri fattori caratteristici delle società umane: condizioni politiche, socio-economiche, scelte sanitarie e salubrità dell’ambiente.

Ad esempio, è evidente che in Italia la diffusione di SARS-CoV-2 non sia omogenea in tutte le Regioni. La Lombardia conta quasi un terzo dei contagiati, e nella zona della Pianura Padana è stato registrato un numero molto più elevato di contagi rispetto al resto d’Italia. Le ragioni alla base di tale fenomeno possono essere molteplici ed avere varia origine, non ultima la necessità di mantenere aperti i comparti industriali ritenuti essenziali durante il lockdown. Tuttavia, vale la pena osservare che la Pianura Padana, proprio perché maggiormente industrializzata, è una delle aree più inquinate d’Italia.

Urgente definire il ruolo del particolato atmosferico  

È noto che l’esposizione continuata a inquinanti atmosferici come diossido di azoto e particolati (PM10 e PM2,5) sia connessa all’insorgenza di patologie respiratorie gravi. Secondo l’ultimo resoconto dell’Agenzia europea per l’ambiente (2016), nell’Unione Europea, circa 374mila morti premature sono causate dai livelli elevati del solo PM2,5.

Date le condizioni attuali, indagare le connessioni possibili tra i livelli di inquinanti atmosferici e la diffusione del SARS-CoV-2 risulta una vera e propria necessità.

Date le condizioni attuali, indagare le connessioni possibili tra i livelli di inquinanti atmosferici e la diffusione del SARS-CoV-2 risulta una vera e propria necessità. (©Laboratorio Design of Science – Dos, Unife)

A marzo 2020 è stato redatto un documento dalla Società italiana di medicina ambientale (Sima), in cui si è ipotizzato che il particolato atmosferico funga da vettore di trasporto per il SARS-CoV-2. Ciò sarebbe alla base, secondo i ricercatori, della più ampia diffusione di SARS-CoV-2 nell’area della Pianura Padana. Recentemente, gli stessi gruppi di ricerca hanno dimostrato che nel particolato sono effettivamente presenti tracce di SARS-CoV-2. Tuttavia, tale scoperta non dimostra né che il virus sia strutturalmente integro né che sia attivo. Soprattutto non dimostra che sul particolato si raggiunga la carica virale necessaria per contagiare.

A tal proposito la Rete italiana ambiente e salute ha sottolineato che, pur essendo nota la capacità del particolato di veicolare particelle biologiche, non appare plausibile che SARS-CoV-2 possa mantenere intatte le sue caratteristiche infettive e strutturali. Questo perché temperatura, essiccamento e raggi UV danneggiano l’involucro del virus e quindi la sua capacità di infettare.

L’ottenimento dei risultati scientifici non è quasi mai sincrono con la richiesta di risposte da parte della società. Poco ancora sappiamo dei meccanismi di diffusione di SARS-CoV-2 e ci vorrà tempo per ottenere una tesi scientifica condivisa. Tuttavia l’impatto delle attività umane sull’ambiente, spesso ampiamente sottovalutato, emerge costantemente a ogni livello in tutte le analisi condotte in relazione a questa emergenza globale.

(Remedios Cortese, Chimica, collabora a La Lampada delle Scienze)

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