Caricare il mulo sull’autobus, ovvero video-riunioni e video-lezioni anche basta!

Di Michelangelo Ferraro

Non ricordo più per quale motivo, ma mio nonno mi raccontava sempre di quel tizio che subito dopo la guerra voleva salire sulla corriera col suo mulo, e ricordo che questa cosa mi faceva ridere tantissimo, perché alle orecchie di un ragazzino degli anni Ottanta suonava come una mattana irresistibile.

Ma quel contadino calabrese degli anni Cinquanta, i cui avi da secoli (un paio di millenni) si erano recati in città in groppa ad un equino, non era pazzo, inconsapevolmente stava facendo remediation (J.D Bolter). Stava cioè cercando di infilare il vecchio, antichissimo medium nel nuovo, la corriera, apparsa sulle strade della Sila negli anni Cinquanta. Non lo sapeva che quella remediation non avrebbe funzionato e che da lì a poco quel rituale di partire a dorso di mulo per l’intera giornata, attrezzandosi per un viaggio individuale che comprendeva pranzo, soste, incontri e panorami era finito, che sarebbe stato sostituito da una toccata-e-fuga in comitiva, a rischio nausea, che si pagava in moneta.

Ed in questi giorni di Covid-19, mentre tutti ci affrettavamo a capire quale fosse lo strumento migliore per fare riunioni e lezioni online, ho ripensato al tizio che voleva far salire il mulo sulla corriera ed ho pensato a milioni di persone tentare la stessa remediation, in cui i rituali delle RIUNIONI e delle LEZIONI cercano posto sui nuovi media, ma quei rituali sono morti e come quel tizio non lo sappiamo (o non vogliamo saperlo).

Il grande brusio digitalizzato che si è generato in questo mese di distanziamento sociale, pare abbia prodotto più virtual meeting e virtual classroom di quante ne siano state fatte dalla nascita di Internet. Ma questa frenesia da videocall e webinar che ha assalito il mondo in queste settimane non è altro che l’ordalia finale che decreta, a mio modesto parere naturalmente, la morte di un mondo, di un’epoca e di molti suoi rituali.

Abbiamo cercato e trovato lo strumento migliore per fare le riunioni in remoto. Ne abbiamo fatte tantissime in queste settimane. Anzi, è stata una continua riunione. E per quanto sexy possa suonare la parola inglese call, siamo arrivati alla terza settimana stanchi. Qualcuno è ancora lì, attaccato a Zoom, anche oggi che è sabato, ma è adrenalina, vedrete, fra qualche giorno cadrà anche lui in depressione.

Abbiamo cercato e trovato lo strumento migliore per fare le riunioni in remoto. Ne abbiamo fatte tantissime in queste settimane. Anzi, è stata una continua riunione.

Credetemi, il problema non è il tool. Tu che tool usi? È più figo? Anche quei tool che ci fanno gli sfondi sfumati per camuffare le nostre modeste stanze però non cambieranno la situazione. Non è un problema di tool, mettiamocelo in testa! Ma è grazie al tool che abbiamo scoperto tutti che il re è nudo. Grazie tool! Mentre cercavamo di replicare in digitale la nostra giornata analogica, abbiamo capito che la nostra giornata, la nostra vita lavorativa altro non era che una RIUNIONE, un meeting continuo. E oggi guardando indietro, a solo ieri, sembra incredibile che questo rituale della riunione fosse diventato “il lavoro”. Ma se tutti sono in riunione, chi lavora? Mi ha chiesto una volta un amico.

Ieri ho letto un report della London Business School sul Covid-19, che fa vedere le poche categorie che fanno smart working, ovvero riunioni, ovvero riunioni online, ed è stato evidente che è proprio la riunione in quanto riunione ad essere insostenibile. E se la riunione corrisponde al lavoro… è quel lavoro ad essere insostenibile, superfluo per il mondo che verrà. Come il viaggio a dorso di mulo negli anni Cinquanta e la dettatura alla dattilografa negli anni Ottanta.

È vero come dice Baricco, che alla fine saremo tutti riconciliati col Game e che avendo sperimentato tutti il digitale non lo guarderemo più come un ladro. Ma sarà il digitale purtroppo (o per fortuna) a guardare noi come dei pazzi. Sarà il medium che ci guarderà stupito e compatente mentre cerchiamo di caricare il mulo sull’autobus.

Abbiamo cercato e trovato lo strumento per fare le LEZIONI online e ne abbiamo fatte più d’una, generosamente siamo andati oltre le infrastrutture forniteci dalle scuole e dalle aziende e ci siamo scaricati l’app a nostre spese. Abbiamo fatto delle video-lezioni in diretta e registrato ore ed ore di colte spiegazioni. Abbiamo fatto e fruito webinar di due ore, quattro ore, otto ore (altrimenti i Fondi interprofessionali non le rendicontano). Ed abbiamo amaramente scoperto che non è una questione di piattaforma, ma che è la lezione in quanto tale ad essere insostenibile. Abbiamo scoperto che il nostro lavoro quotidiano da prof, da docenti fatto di lezioni è un rituale stanco. È la lectio, magari ex cathedra, che è come quel mulo che il tizio voleva far salire sull’autobus.

Ogni media il suo linguaggio, ripeteva Angelo Guglielmi, maestro anche di Baricco. La riunione e la lezione sono linguaggi di un altro medium, l’AULA, parlamentare, solenne, magna, bunker, scolastica che sia.

Per dirla chiara, il futuro delle riunioni, se ci sarà un futuro, non è la riunione online che stiamo vivendo in questi giorni ed il futuro della lezione, se ci sarà un futuro, non è la video lezione (per le scuole) o il webinar (per le aziende). Quando le macchine di Gutenberg furono attivate in varie parti d’Europa alla fine del ‘400 nei primi anni vennero convertiti a stampa dei codici manoscritti. Poi si capì che il destino della stampa non era quello di replicare, in modo degradato per altro, gli splendidi manoscritti medievali. Quando i televisori fecero la comparsa nelle case nel primo dopoguerra venivano trasmessi spettacoli da teatro. Poi si capì che il destino della televisione non era quello di replicare in maniera surrogata un linguaggio nato per essere potente in uno spazio fisico chiamato teatro.

La riunione e la lezione sono linguaggi di un altro medium, l’AULA, parlamentare, solenne, magna, bunker, scolastica che sia.

Ora, sia sul fronte delle riunioni che sul fronte delle lezioni per la verità negli ultimi dieci-quindici anni sono nate molte pratiche innovative, su linguaggi specifici ed adeguati al mondo digitale. Il cosiddetto “metodo agile” di lavoro da una parte, con le sue mille sfumature, ha di fatto già sorpassato il vecchio rito della riunione e credo che a quel modello bisognerà guardare nel futuro. Dall’altra, le esperienze nel campo dell’apprendimento sono progredite in questi ultimi anni verso modelli efficaci ed attuali, che tengono conto di un contesto in cui come dice il mio amico Sertac Yeltekin “Learner is the King” e non più “Teacher is the King”. È un mondo che ribolle da un po’ di anni quello dell’education e dell’edtech e dei nuovi modelli pedagogici ed andragogici associati. 

Esiste una comunità globale vasta di professionisti, metodologi, tecnologi, persone di contenuto, imprenditori, investitori, e anche qualche policy maker per fortuna, a cui mi pregio di appartenere, che da anni lavora non solo sui tool, ma anche sui linguaggi, sui formati, sulle nuove competenze dei formatori, sui contesti organizzativi. Una comunità che immagina e realizza già le scuole del futuro, che tiene in gran conto l’efficacia della formazione e che oggi guarda a questa frenesia involutiva della video-lezione improvvisata, con un certo imbarazzo. Questa comunità ci guiderà verso il futuro perché è già all’opera da tempi non sospetti per costruire un linguaggio attuale e congeniale al medium e che ha smesso da tempo di voler caricare il mulo sull’autobus.

Michelangelo Ferraro, Presidente iSapiens, già docente del Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza di Unife