di Maria Longobardi – parti prima e seconda
Fare una visita ai wet market cinesi è un’esperienza particolare. Chi ci è stato racconta di un viaggio sensoriale fatto di mille colori, voci e odori. Avere a disposizione l’esperienza diretta di una visita può aiutare a chiarire cosa ci sia davvero dentro un wet market. A me è capitato di fare questa esperienza di recente, nel sud della Cina e perciò provo a descriverla.
È stato lo scorso dicembre durante una trasferta di lavoro in Cina, a Shenzhen, nella zona del Guandong. Shenzhen è una metropoli piena di grattacieli considerata la nuova Silicon Valley.
È la città del mondo che ha subito la più forte espansione demografica dello scorso secolo. Infatti, solo negli anni Ottanta era un piccolo villaggio di pescatori con una popolazione di 20mila abitanti. Oggi, quarant’anni dopo, Shenzhen conta circa tredici milioni di abitanti con un territorio grande una volta e mezzo quello di Roma, che di abitanti ne ha solo tre milioni.
I wet market di questa città sono tantissimi e disseminati su tutto il territorio. Ce ne sono sia di grandi che di piccoli, al chiuso e all’aperto.
Uno dei mercati che ho visitato era piccolo e al chiuso. Si trovava in una zona residenziale tranquilla, ornata di palme e altri alberi grandi, piena di scuole e piccoli negozi, soprattutto di abbigliamento e cartolerie. Il quartiere era poco lontano dal frenetico distretto commerciale di Huaqiang North Road, considerato il regno assoluto dell’elettronica in Cina.
In questo wet market ci sono finita per caso girovagando alla ricerca di un ristorante. Sono stata attirata dai colori vivaci di un banco di verdure ordinate in piccoli mazzetti e dalla frutta rossa e gialla all’ingresso di un edificio basso e che sembrava male illuminato all’interno.
Il ventre di Shenzhen
Entrando, sono stata investita da una nuvola di odori, alcuni che riconoscevo, come quello dello zenzero e della frittura, altri che non sono riuscita a identificare. L’edificio era pieno di gente e delle loro voci e aveva almeno una trentina di banchi alimentari disposti in tre file parallele.
Il locale era alquanto buio; il pavimento, bagnato e scivoloso, aveva delle piastrelle bianche e sui banconi cadevano dall’alto dei grossi lampioni che facevano una luce rossastra sulle merci esposte. I muri erano rivestiti di piccole mattonelle bianche e verdi quadrate, disposte a scacchiera, che in alcune zone erano bianco e arancione. Ogni negozio aveva ben in vista i codici QR per pagare direttamente con il telefonino, con Alipay o WeChat.
Oltre alla carne, al pesce e alle verdure si potevano comprare anche bibite e cibi cotti, come pollo fritto o dampling. C’erano soprattutto zampe di pollo, da asporto o mangiare sul posto: zampe fritte, in umido, bollite, zampe di tutte le specie. Poi c’era la trippa e altre frattaglie, zampe e musi di maiale cotti interi e ben rosolati, e spezzatini di vario tipo.
I dampling erano a base di carne e verdure; erano ordinati in grandi vassoi bianchi dietro ai quali c’erano due donne minute con cappellino bianco e mascherina che li riempivano e arricciavano al momento, concentrate e veloci. Sembrava quasi che lavorassero all’uncinetto e non alzavano mai lo sguardo dal loro lavoro.
I banchi delle verdure erano strapieni, così come quelli delle carni. Il tipo di animale venduto o le sue varie parti (agnello, pollo, fegato…) erano indicati su piccoli cartelli verticali, con le scritte in rosso su fondo bianco, disposti in corrispondenza dei venditori.
Dal soffitto di alcuni banconi penzolavano dei grandi pezzi di carne in esposizione e polli e anatre appesi per il collo a dei grossi ganci di acciaio. Passandoci accanto si sentiva un odore forte e penetrante, quasi selvaggio, che ti investiva e permaneva nel naso.
Le carni macellate erano esposte su delle grosse griglie metalliche appoggiate su larghi tavoli di legno. Il legno era spesso intriso del sangue dagli animali, che a volte colava sul pavimento formando piccoli rigagnoli rossi.
Le carni si scelgono a mano, dal mucchio
I clienti sceglievano i pezzi migliori infilando le mani direttamente nel mucchio delle carni. Ne prendevano alcuni pezzi e li controllavano attentamente, girandoli e rigirandoli, e poi li davano al venditore per comprarli. Non c’era un ordine apparente tra le carni ammucchiate sulle griglie, e a volte pollo e pezzi di frattaglie erano mescolati alla rinfusa a maiale e agnello.
I banchi di verdure erano invece ordinati e profumati ed erano posizionati vicino ai cibi cotti e al pesce. La zona ittica era molto colorata. Grandi tranci di tonni e pezzi di pesce spada, spigole, polipi, pesci gialli e piccoli pesci rosa e molti altri ancora stesi e allineati su letti di ghiaccio sembravano una tovaglia luccicante. A volte, l’acqua gocciolava dalle loro code penzolanti dai banchi e formava una scia sul pavimento che a tratti si univa ai rigagnoli rossi della carne.
C’erano anche delle rane e tartarughe, entrambe vive, rinchiuse in reti a maglia larga gialle e verdi, mentre dei grandi granchi bianchi e pelosi, anch’essi vivi, avevano le chele legate strette al corpo, tenute da elastici bianchi e rossi disposti a croce e sembravano piccoli pacchetti regalo rettangolari.
In grosse vasche bianche piene d’acqua nuotava una specie di serpenti di mare che tentavano a forza di risalire i bordi della vasca. Forse erano anguille.
Le voci dei venditori che richiamavano i clienti riempivano il locale e, di tanto in tanto, qualcuno di loro mi sorrideva mentre qualcun altro mi indicava con il dito qualcosa sul suo bancone, facendo dei cenni con la testa che io non riuscivo a capire. Nessuno parlava inglese.
Non ho avuto tempo di visitare in dettaglio tutto il mercato e non ho visto molti animali vivi, tranne nella zona ittica; d’altronde, il mercato non era molto grande. Uscendo, ho avuto la sensazione che la nuvola di odori mi inseguisse ancora e, guardandomi le scarpe, mi sono accorta di avere l’orlo dei pantaloni troppo lunghi completamente bagnati. La gente continuava ad entrare e uscire senza sosta e molti erano gli anziani e le donne con bambini che andavano a fare la spesa.
Menù tradizionali di animali selvatici, anche in via di estinzione
Questo che ho visitato a Shenzhen, è un tipico wet market di quartiere dove la gente si reca quotidianamente per la spesa.
I miei colleghi cinesi mi hanno spiegato che certamente nei mercati più grandi avrei trovato più animali selvatici, venduti in maniera ufficiale oppure no. Il sud della Cina è infatti la regione dove si fa più largo uso di questi animali, alcuni dei quali anche in via di estinzione e protetti.
E Shenzhen, in particolare, è proprio rinomata per i suoi menu a base di animali selvatici, forse per la connotazione fortemente rurale del suo recente passato. Ad esempio, a Shenzhen, è molto popolare, soprattutto tra i più anziani, la colazione a base di zuppa di serpente, che rafforzerebbe il sistema immunitario e rinvigorirebbe il corpo. (3. Continua)
(Maria Longobardi è fisico e science writer)
Molto piacevole da leggere e interessante!
Grazie Paola!