L’uscita di virus dai laboratori di massima sicurezza è rara ma non impossibile (2– fine)

L’errore umano è il primo elemento di rischio. Ma la ricerca è necessaria per combattere le pandemie

di Maria Longobardi (parte prima)

Se incidenti come quelli accaduti nei laboratori dove si studia Ebola sono preoccupanti ma i danni possono essere contenuti perché il virus non si diffonde per via aerea e gli incidenti sono palesi, come la puntura di un ago o un morso di un animale da laboratorio infetto, che cosa succede in caso di incidenti con virus che si diffondono per via aerea e che possono contagiare il ricercatore, per esempio, attraverso un buco invisibile della sua tuta protettive, e senza che lui se ne accorga? 

E peggio ancora, supponiamo che questo virus abbia un tempo di incubazione lungo e che l’ignaro scienziato sia asintomatico e che, dopo il contagio, continui la sua vita di sempre e porti il virus tra la popolazione?

Sono scenari remoti ma comunque possibili. Ed è già successo, con la SARS nel 2004.

Il caso della SARS

L’epidemia di SARS è stata dichiarata ufficialmente terminata nel Luglio 2003. Ma, un anno dopo, nell’aprile 2004, un’infermiera ventenne di Pechino viene trovata positiva alla SARS. 

Si scopre che la donna ha avuto in cura una giovane dottoranda che lavora in un laboratorio BSL-3 all’istituto Chinese National Institute of Virology  (NIV) di Pechino. La ricercatrice è andata in treno a trovare la madre ad Anhui, un’altra regione della Cina ed è poi tornata a Pechino insieme a lei. Una volta a Pechino, la ragazza ha febbre alta, viene curata in ospedale e poi dimessa. Si pensa a una brutta influenza.  Intanto, la madre torna ad Anhui, accusa sintomi di polmonite, viene ricoverata nell’ospedale locale e muore, si scoprirà poi di SARS.  

Nel frattempo, nell’ istituto di virologia di Pechino, un altro ricercatore accusa sintomi di polmonite, un altro caso di SARS. 

Tutto l’istituto è allora temporaneamente chiuso, il personale del NIV (circa duecento persone) è messo in quarantena, così come circa altre quattrocento persone che avevano avuto contatti con i ricercatori e medici. 

Alla fine della storia, si sono contati otto casi di SARS tra ricercatori, personale medico e familiari, e un decesso, la madre della microbiologa. Ed è stata una fortuna che il virus non si sia propagato anche ad Anhui o altre zone della Cina.

A seguito di una investigazione congiunta dell’Oms e del Centro di prevenzione malattie (CDC) di Pechino, si è scoperto che i due ricercatori contagiati, pur non facendo ricerche sulla SARS, hanno contratto il virus tramite una contaminazione incrociata di altre colture virali che stavano studiando. 

I dirigenti del NIV e del CDC vengono tutti rimossi per gravi negligenze nei protocolli di biosicurezza.  Inoltre, l’istituto CDC è stato trasferito dal centro di Pechino in una zona isolata, per arginare le conseguenze di eventuali fughe di patogeni, nel caso si fossero verificate di nuovo.  

Prima dell’incidente di Pechino, c’erano però stati già altri due incidenti relativi alla SARS, uno a Taiwan nel Dicembre 2003 e l’altro a Singapore nell’Agosto 2003. In entrambi gli incidenti, solo i ricercatori (un virologo e un dottorando) coinvolti negli esperimenti sono stati contagiati e nessun caso di SARS è stato trovato tra la popolazione.  Si è poi scoperto che entrambi non lavorano sulla SARS ma su un altro virus e ancora una volta c’era stata una contaminazione incrociata dei campioni. 

In seguito a tutti questi incidenti, l’Oms e i laboratori cinesi, hanno stilato dei protocolli più stringenti per la SARS e da allora nessun altro caso di fuga accidentale di questo virus (SARS-Cov) è stato segnalato, né in Cina né nel resto del mondo.

Aumentano le misure di sicurezza, diminuiscono gli incidenti 

Tutte queste storie ci raccontano che gli incidenti nei laboratori, anche se molto rari, sono eventi che possono comunque accadere. Per questo motivo, ci si chiede quali sono i maggiori fattori di rischio e la probabilità che questi avvengano. 

Negli scorsi anni scorsi, sono state effettuate molte ricerche che affrontano questo tema. In particolare, uno studio che prende in esame le infezioni avvenute nei laboratori in Asia tra il 1982 e il 2006 riporta che in totale ci sono stati 27 incidenti, di cui il 19% del totale in paesi come la Cina (2 casi, Hantavirus  e SARS), India (2) e Malesia (2). Il restante 81% dei casi è stato rilevato soprattutto in Australia (7), Taiwan (6), Giappone (4) e Sud Corea (4).  

Le infezioni più comuni sono dovute a batteri responsabili di malattie come la Brucellosi, la Tubercolosi e la Salmonella. Per le infezioni virali, ci sono invece malattie come sono le Epatiti B e C e l’HIV. Nessuno degli incidenti riportati è accaduto in laboratori di massima biosicurezza BSL-4 ( Bio Safety Level-4). 

Negli Stati Uniti, è stato invece pubblicato un report del programma Select Agent che prende in esame tre particolari incidenti di laboratorio,  il contagio del personale scientifico, la perdita e il furto di patogeni, nel periodo che va dal  2004 al 2010.

Sono 727 i casi registrati, di cui 11 sono i contagi di ricercatori (su un personale di circa 10.000 unità), una spedizione di patogeni è stata persa (ma l’FBI ha appurato che la spedizione è stata accidentalmente distrutta in un centro di distribuzione durante il suo viaggio) mentre non c’è stato nessun furto di patogeni. Tutti i casi di contagio sono avvenuti in laboratori BSL-3 e BSL-2 (in cui il livello di sicurezza richiesto è alto ma non massimo) ; nessuno nei BSL-4 di massima sicurezza.

I report del programma Select Agents degli ultimi anni segnalano una drastica diminuzione dei casi degli incidenti di laboratorio ed errori. In particolare, gli ultimi 4 report (2015-2018) non riportano casi di contagio tra il personale né furti di patogeni. Inoltre, quasi tutte le perdite sono tutte state rintracciate e monitorate. 

Un altro studio condotto in Belgio prende invece in esame altri tipi di incidenti, come il versamento di liquidi contenente virus o batteri, la rottura di provette, gli incidenti al personale scientifico causati da punture di ago o morsi di animali e i danni dell’equipaggiamento protettivo. 

Questi studi dimostrano che il 90% degli incidenti è dovuto a errori umani o mentre solo il 10% a equipaggiamento difettoso (come buchi nelle tute o provette lesionate). Inoltre, la maggior parte avviene per la mancanza di rispetto dei protocolli di sicurezza o per un training inadeguato. 

I patogeni a diffusione aerea (tramite i droplets) sono quelli responsabili di più incidenti e i batteri causano più contagi dei virus (60% batteri, 10% virus). 

Ancora una volta, questi studi dimostrano che nei laboratori BSL-4 negli ultimi anni non si sono verificati quasi mai incidenti, al contrario dei BSL-3. Recentemente, in Belgio, i programmi di training sono stati aggiornati e rafforzati.

È stata, infine, calcolata anche quale sia la probabilità che un patogeno possa uscire da un laboratorio tramite il contagio di un ricercatore. Questa probabilità è pari allo 0.2% all’anno

cioè su 1000 persone che lavorano in un BSL-4, c’è la probabilità che se ne infettino 2 all’anno per ogni laboratorio.

Per quanto riguarda l’Italia, casi recenti di incidenti in BSL-3 e BSL-4 non sono riportati. 

Ha fatto però molto scalpore l’anno scorso il caso di una studentessa italiana di Padova che è rimasta contagiata dal virus HIV in un laboratorio di Ginevra, dove si trovava per condurre esperimenti per la sua tesi di laurea. In questo laboratorio erano presenti solo virus HIV disattivati (cioè non in grado di infettare l’uomo), la studentessa non lavorava su HIV e non ha avuto incidenti. 

Le analisi hanno però confermato che il ceppo di HIV responsabile dell’infezione è proprio quello che era presente in laboratorio. Il timore è che questo virus possa essere stato trasmesso per via aerea. Ma non è ancora chiaro cosa sia successo. 

Intanto, la ragazza ha fatto causa all’università di Padova che l’ha mandata a Ginevra ma i giudici le hanno negato un risarcimento. Le motivazioni della sentenza sono state che l’HIV da laboratorio “è curabile ma con più difficoltà, perché i farmaci disponibili sono stati sviluppati sui virus circolanti tra la popolazione”.

Nonostante la comunità internazionale guardi ancora con sospetto a questi laboratori e ci si interroghi sull’origine del virus SARS-Cov-2 e, le statistiche ci dicono i BSL-4 sono luoghi abbastanza sicuri.  Nonostante gli incidenti ci siano stati, le misure di sicurezza sempre più stringenti hanno diminuito notevolmente il loro numero negli anni. 

In particolare, soprattutto in Cina, dopo i casi di SARS originati dai laboratori nel 2003 e nel 2004, molto è stato fatto per prevenire e monitorare gli incidenti.  

I numeri ci dicono che l’errore umano è purtroppo ancora oggi la causa maggiore dei problemi e per questo è necessario un training continuo del personale. 

Laboratori necessari per la difesa contro le prossime pandemie

Ma i laboratori di biosicurezza, come quello di Wuhan, non sono solo luoghi di rischio: sono i posti dove si studiano le malattie per cui non c’è una cura e dove si cerca di prevenire le prossime pandemie, che sicuramente ci saranno, come avverte la comunità scientifica. 

I ricercatori, vestiti come astronauti, esplorano l’invisibile per prevenire le prossime pandemie (©Laboratorio Design of Science – Dos, Unife)

La convivenza tra l’uomo e i patogeni si è fatta più complicata negli anni a causa della globalizzazione e del numero crescente di abitanti sul nostro pianeta. Ebola, coronavirus e altri patogeni abitano la Terra da milioni di anni, l’hanno colonizzata prima dell’uomo. 

Adesso le nostre strategie di difesa contro questi microorganismi devono passare necessariamente attraverso i laboratori di biosicurezza. Molti sono i ricercatori che dedicano ogni giorno la loro vita a proteggere la nostra di vita in questi laboratori, in tutto il mondo, nelle loro tute protettive, vestiti come astronauti. Non partono per lunghi viaggi, non esplorano il suolo lunare o pianeti lontani. Guardano ai virus e batteri, un mondo invisibile ancora quasi del tutto inesplorato, terribile e affascinante, come sanno essere in mondi lontani, come la Luna e come Marte.

(Maria Longobardi è fisico e science writer)

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