Moda sostenibile per l’ambiente

Il settore altamente inquinante deve cambiare

di Francesca Bonazza, Catia Signorelli, Melissa Mercuri

La riduzione della mobilità e dei consumi, risultato delle misure di contenimento della pandemia da Covid-19, ha rivelato in pochi mesi i benefici di un minor carico di inquinamento ambientale. Le aziende più inquinanti a livello globale, come quella della moda, seconda in questo campo solo a quella petrolchimica, saranno ormai obbligate ad adottare nuove strategie per ridurre i propri impatti.

La BCG (Boston Consulting Group), la Sustainable Apparel Coalition e la compagnia Higg Co in un recente report spiegano come l’impatto del Covid-19 e il conseguente lockdown abbiano messo in luce una rinnovata spinta a modelli produttivi eco-sostenibili nell’industria della moda. 

Una moda insostenibile 

L’industria tessile e della moda sono da tempo sotto accusa per la scarsa sensibilità nei confronti dell’ambiente, in quanto implicano una lunga e complessa catena di approvvigionamento, che include la filiera agricola (per la coltivazione di cotone), la produzione petrolchimica (per la creazione di fibre), la logistica e la vendita al dettaglio.

La supply chain della moda in un anno produce l’8-10% delle emissioni globali di CO2 con 4-5 miliardi di tonnellate, consuma 79 trilioni di litri d’acqua, è responsabile di circa il 20% dell’inquinamento idrico e del 35% di quello microplastico. 

In ogni fase del processo si ha un eccessivo impatto ambientale dovuto all’utilizzo di acqua, sostanze chimiche ed energia, che ricade principalmente sui paesi produttori.

Nell’ultimo ventennio la moda ha prodotto quasi il doppio della quantità di abbigliamento, portando a un aumento della produttività di tutta la filiera. Di contro però le attuali pratiche di consumo della moda comportano grandi quantità di rifiuti tessili, la maggior parte dei quali viene incenerita, messa in discarica o esportata nei paesi in via di sviluppo.

Le aziende del fashion non si stanno impegnando in maniera concreta e veloce per trovare soluzioni all’impatto negativo che tale industria ha sull’ambiente e sulla società, come riportato nello studio del 2017 della Global Fashion Agenda e della BCG. 

La storia insegna: le crisi globali accelerano le trasformazioni

I periodi di crisi globale hanno sempre accelerato i cambiamenti della società, dimostrandosi punti di svolta strategici per le imprese. È già accaduto anche in questo settore. 

L’ epidemia di influenza spagnola del 1918 – ricorda il report – trasformò le abitudini di igiene personale e pulizia, aumentando la frequenza di lavaggio dei vestiti e l’uso di lavatrici elettriche, mentre la SARS nel 2003 ha determinato cambiamenti duraturi nei modelli di consumo al dettaglio.

Allo stesso modo, tendenze già emergenti come il lavoro a distanza, l’adozione di servizi quali l’e-commerce e soprattutto l’assimilazione di scopi e valori attualmente poco familiari alle aziende, subiranno una nuova spinta durante il recupero da SARS-CoV-2.

Probabilmente, con la crisi portata dal Covid-19 i consumatori si troveranno a spendere meno, privilegiando le cose durabili nel tempo, con l’obiettivo di salvaguardare il futuro. Secondo le previsioni di Sarah Willersdorf, partner della BCG ed esperta dell’industria del fashion, i clienti diventeranno molto più selettivi con una mentalità orientata alla sostenibilità, alla qualità e al valore; il loro interesse sarà rivolto non a questioni di vanto e gusto, ma piuttosto ad aspetti etici ed ecocompatibili, soprattutto nei confronti di quelle categorie di prodotti a contatto diretto con il corpo.

Un nuovo business model che punti a obiettivi a lungo termine dovrà garantire al contempo successo commerciale e sostenibilità. 

Ne usciranno quindi vincitrici tutte quelle aziende che hanno già incorporato nelle loro strategie la sostenibilità produttiva. D’altra parte, avranno più difficoltà tutti quei marchi che sono stati più lenti nel rendersi conto dell’importanza di tutto ciò, per i clienti attuali e futuri. 

Un pensiero riguardo “

Moda sostenibile per l’ambiente

Il settore altamente inquinante deve cambiare
  1. In realtà anche se è un dato che viene riportato molto spesso anche da eminenti testate giornalistiche e giornalisti del settore, non si hanno dati certi per poter dire che sia la seconda industria più inquinante, ciò non toglie che sia sicuramente fra le prime, per via della catena produttiva e dell’immenso ammasso di rifiuti generato soprattutto dalle aziende dalla “fast fashion”, si calcola infatti che 3 prodotti su 5 di questo settore finiscano nelle discariche, spesso senza nemmeno essere state indossate.
    Come diceva Mrs Vivienne Westwood
    COMPRARE MENO! COMPRARE MEGLIO! FAR DURARE I PROPRI CAPI!!
    PIU’ QUALITA’ MENO QUANTITA’

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