di Redazione
Giulia, “Innovation Design”, da Avellino
Un paio di giorni prima del lock down lo avevo detto “se non torno all’università, salterà un intero semestre. Non si studia design in smartworking“.
Il design è condivisione e confronto, espressioni verbali ma soprattutto, per me, fisiche. Come avrei potuto capire cosa pensavano realmente i miei colleghi in fase di progettazione, se uno schermo di avrebbe diviso? Perché si sa, l’espressione fisica va oltre quella mentale, non la puoi trattenere. Il disappunto espresso con una mano che si stringe, la necessità di esprimere la propria parola espressa da un corpo che tende in avanti, un sorriso trattenuto dopo aver detto una sciocchezza… Niente che una webcam possa rendere.
Eppure, dopo circa un mese di lezioni, eccomi qua. Un po’ stupita, ma profondamente fiera e felice, di come il mio corso di studi stia affrontando questa situazione. Non mancano le difficoltà, perché più di chi studia design, chi lo insegna ha bisogno di riscontri, di capire i propri alunni guardandoli negli occhi e studiando le loro espressioni fisiche.
In classe, ad una richiesta di opinione da parte del professore, i nostri occhi avrebbero parlato per noi, esprimendo consenso o meno, adesso la nostra espressione sono webcam e microfoni spenti. Il design richiede confronto, e non sempre è facile esporsi, stiamo, tutti insieme professori e alunni, lavorando su di noi, per abbattere i filtri impercettibili del digitale.
Credo nella forza del design e nei mezzi di cui disponiamo, uniti nelle nostre case, ne usciremo.